Dolores Prato

Io la chiamerò paese, ma è città. La restituì alla dignità civica un papa che ne riscosse un monumento librato nell’aria; in bronzo il suo ritratto a mezzo busto; il resto pietra, slancio, luce; sta alto nello spazio come un gigantesco ostensorio e per fondo non potrà mai avere che il cielo. Nello stemma la città era rappresentata da tre monticelli appoggiati fianco a fianco come per esprimere unità nella trinità; due fiori spuntavano tra loro, gigli o rosolacci… li vidi in atteggiamenti diversi: pudichi, o sfacciati; le tre gobbe sostenitrici del paese non le distinsi mai… Roma e Treja hanno in comune il mistero del nome. Roma non maschera quello che nascondeva il suo vero; come non sapremo mai quale fu questo nome, così non sapremo mai quale nume stravolto, o mascherato, dette il nome a Treja. Etimologia esatta non c’è; qualcosa s’intravvede attraverso un velo fluttuante e scompare. Da un irrecuperabile mistero nacque Treja le cui lettere furono sempre su per giù quelle della terra. Treja deriva da Trajano? No, da Trea, però lo mette in dubbio quella j lungache c’è sempre statae che è stata… graficamente cancellata; ma provare a dire Tre-i-a con la i piccina, non è più lei; Trea, Trejensis, un pancotto di possibilità. Treja ha frantumato la sua storia e i frantumi mandano echi spezzati, echi lunghissimi non esistono. Frantumi di lapidi nel paese e nella campagna: un firmamento di frantumi lapidari dove si vaga come si vagherebbe fra la Via Lattea. I frammenti più grossi li adoperò per materiale da costruzione; ci fece anche gli scalini per salire su per la torre campanaria del Duomo.
Dolores Prato, Giù la Piazza non c’è nessuno